lunedì 10 giugno 2013

Genitori gay: quando i bambini passano in secondo piano.


Introduco l‘argomento di oggi dicendo che mi sta particolarmente a cuore, soprattutto perché si parla di bambini.
Negli ultimi anni il dibattito sui diritti degli omosessuali infiamma tv, discorsi da bar, dibattiti a scuola, giornali, web, perfino interviste a personaggi più o meno famosi.
Matrimonio sì, matrimonio no, alcuni propongono di riaprire i lager, alcuni pazzi addirittura additano l’amore omo come vero e unico amore –sì, fan di Glee, parlo di voi malate-. C’è gente che parla, altra passa i fatti e quindi manifestazioni pro o anti gay, linciaggi, ecc…
Però c’è un argomento che non fa solo discutere, fa proprio sragionare: le adozioni e in generale la possibilità di essere genitori per le coppie omosessuali. Cioè, è giusto o sbagliato permettere a famiglie, che esulano il concetto che abbiamo di esse, di poter procreare o adottare pargoli?
Anche di questo se ne parla ovunque, ma io vorrei soffermarmi su Internet e Facebook in particolare. Soprattutto sui così detti “progay”. La frase che si legge in giro è sempre la stessa: “io sono a favore dei gay, ma i bambini hanno bisogno di una mamma e un papà”.
Ora, posto che la scienza e l’antropologia potrebbero ribattere a quest’affermazione distruggendola sillaba dopo sillaba, visto che ciò che concerne la crescita e la cura dei figli non è un dogma fisso nel tempo e nello spazio, ma è andato incontro a diversi cambiamenti, io vorrei analizzare le motivazioni che ho visto suffragare questa teoria.
La prima è che i gay non possono avere figli, quindi, per qualche misterioso motivo, dovrebbero essere privi di istinto genitoriale. Bene, potrebbe essere vero se non fosse che l’istinto materno e quello paterno fanno proprio parte di quegl’istinti di cui siamo, teoricamente, dotati tutti noi. E che entrambi si costruiscono o “svegliano” pian piano, non spuntano certo fuori da un giorno all’altro.
In più c’è da dire che ho visto madri totalmente prive di istinto materno e di notizie di genitori che uccidono deliberatamente i figli per il troppo fracasso –magari bambini di due o tre anni- ce ne sono fin troppe. Dunque dov’è l’istinto genitoriale di costoro? Queste persone sono degne di avere tra le loro mani vite innocenti che possono egoisticamente stroncare o rovinare?
Eppure nessuno si sognerebbe mai di impedire a priori ad una donna o ad un uomo di avere figli. Non importa che siano irresponsabili cronici o gente conosciuta per essere ubriacona, tossica, violenta: nessuno si sognerebbe di impedir loro di riprodursi.
La seconda argomentazione che sento spesso è che questi bambini verrebbero presi in giro dagl’altri loro coetanei. Ora, non so in che mondo viva certa gente, ma si sa che i bambini son sì dei grandissimi fetenti, però ripetono quello che sentono dire in casa o dall’amichetto che l’ha sentito da mamma o papà.
Quindi un bambino sfottuto a sangue dai compagni per avere due mamme o due papà chi dovrebbe ringraziare, se non i genitori dei compagni?
Magari gli stessi che, saputa la cosa, invece di punire i propri pargoletti, dicono “ma son bambini!”. No, miei cari, questa non è una giustificazione: mio padre, davanti ad un fatto così, mi avrebbe dato una battuta che non avrei più osato aprir bocca. E non perché sia particolarmente favorevole a queste cose, ma perché si tratta di una questione di principio, di educazione, di tolleranza e di rispetto.
La terza è che la religione –restringiamo il campo a quella cattolica, perché non ho assolutamente intenzione di scrivere un trattato sulle altre religioni e il rapporto con l’omosessualità- è contraria ai gay e quindi non si possono affidare bambini a questi abomini. Non spreco nemmeno una parola a condannare qualcuno che usa la fede in un dio per pararsi il culo ad ogni piè sospinto o che ritiene la Bibbia un testo scientifico. Quindi stendiamo  un velo pietoso.
La quarta è la migliore, è in pole position, forse va a pari merito con la terza: i bambini hanno bisogno di una mamma e un papà per crescere bene, di una solida base, insomma.
Quindi, secondo questa logica, anche madri o padri single o vedovi o nonni che hanno l’affidamento dei nipoti o fratelli maggiori che crescono i minori non dovrebbero avere l’opportunità di detenere la potestà del bambino, visto che non sono una solida base.
Insomma, tutti pensano a tutto, fuori che al benessere dei bambini. Sì, perché alla fine nessuno pensa davvero a loro: un bambino ha bisogno di una casa, di una famiglia che lo ami.
E ora mi verrete a dire che sono discorsi triti e ritriti, lo so, perché in chiunque può amare un bambino, ma ciò non significa che questo chiunque possa essere un genitore, magari in virtù dei motivi su di sopra. E qua permettetemi, allora, di dirvi che vi sbagliate.
Un bambino ha bisogno di amore, di carezze, di coccole. Ha bisogno di qualcuno che lo faccia sentire speciale, di qualcuno che gli dica che è il più bello del mondo, il più intelligente; di qualcuno che gli prepari la merenda, il pranzo, la cena e la colazione con amore, che lo protegga e lo cresca con dedizione, che gli insegni a comportarsi, ad amare, a pensare. Qualcuno con cui litigare ma su cui contare.
E lo so perché sono cresciuta senza mia madre, che viveva lontano e vedevo una volta all’anno, se mi andava bene, e senza mio padre, che lavora tutta la settimana e quei due giorni che passa con me sono troppo pochi per fare il genitore.
Mi hanno cresciuta i miei nonni e mia zia e, nonostante tutte le loro mancanze, mi hanno insegnato cosa serve ad un bambino per crescere. Non serve un attico in centro a Londra, non servono tonnellate di giocattoli e vestiti, non servono le famiglie del Mulino Bianco: servono amore e cure e, soprattutto, chi può dargliene, indipendentemente da religione, orientamento sessuale o politico, ricchezza o povertà ed etnia.
Ecco, è questo che serve ad un bambino, ma quando parliamo in loro vece, raramente pensiamo al loro benessere: siamo invece più portati a difendere le nostre idee e le nostre certezze, anche a loro discapito.
Con questo non vi chiedo di amare i gay alla follia, ma vi chiedo, la prossima volta in cui dovrete trattare questo argomento, di pensare prima ai bambini e solo poi, al vostro orgoglio personale.

mercoledì 5 giugno 2013

Googlare non costa fatica... e a volte sarebbe meglio farlo


Avete presente quando, davanti a qualcosa di assurdo, la prima cosa che dite è "ma io alla sua età non ero così!"? Ecco.
Ora, io spero che questa ragazza non abbia più di quattordici anni, lo spero vivamente perchè questo screen è soltanto la punta dell'iceberg.
Ma il punto non è tanto lei in sé, quanto l'assoluta mancanza di informazione di queste ragazzine che bo', evidentemente vivono nel loro ristrettissimo mondo fatto di idoletti da quattro soldi, cellulari, scarpe col tacco, discoteche e lucidalabbra ignorando ciò che c'è attorno a loro: un intero mondo fatto da politica, economia, società, cultura, arte, scienza che queste bimbette non conoscono assolutamente.
Un ignorare decisamente volontario, visto che, quando vengono a contato con cose nuove e sconosciute, si rifiutano di aprire Google, googlare la parola chiave o una stringa e cercare la benedetta informazione.
Sia mai, meglio fare figure di merda epiche, col rischio, come in questo caso, di mancare di rispetto sia ad un morto che ad una famiglia che soffre.
E quando, ovviamente, queste ragazzine vengono smerdate per la cazzata detta, che raggiunge livelli davvero epici, partono subito una sequela di giustificazioni senza senso e di accuse verso i "moralisti rompiballe", per poi continuare imperterrite sulla loro strada.
E come posso non dire "alla loro età non ero così!"?


L’insostenibile prezzo di essere genitori

Questo, lo premetto, è un post che esprime la mia opinione personale. 
Non costringo nessuno a pensarla come me, ma, opera del mio spirito pragmatico, voglio che riflettiate su ciò che sto per dire.

Oggi come oggi, leggiamo, vediamo in tv o sentiamo parlare dal cugino, dalla vicina, dal pescivendolo o da chi per essi di casi di genitori che “non meritano di esserlo”. Cito testuali parole che una volta mi capitò di trovare su Yahoo! Answers.
Padri e madri che si dimenticano i figli in macchina invece che portarli all’asilo, che perdono di vista per una frazione di secondo i propri pargoli, che si lanciano dal terzo piano con la prole stretta al petto, che abbandonano le proprie creature con ancora il cordone ombelicale attaccato. Spesso con drammatiche conseguenze.
Sul web, al bar, sul bus scoppia la rivolta. Eppure raramente sento qualcuno che provi a capire. Davvero.
Da piccola, per un istante di distrazione di mia madre, sono quasi morta affogata. Però non la considero un mostro, né indegna di essere genitore solo per questo motivo: è un essere umano e come tale non avrebbe mai potuto vivere puntandomi gli occhi addosso eternamente, prima o poi si sarebbe distratta. Ha solo “scelto” il momento sbagliato per farlo.
Se le cose fossero andate diversamente, se nessuno si fosse accorto che stavo affogando, probabilmente la mia storia avrebbe fatto il giro dei media nazionali e dei panettieri, in quel lontano 1997 e mia madre sarebbe stata messa alla berlina. Sarebbe stata una donna pessima, una madre snaturata che ha commesso solo un errore: essere così umana da avermi persa di vista per un secondo.
Ma da che mondo è mondo, chiunque abbia a che fare coi bambini sa che queste cose, purtroppo, succedono.
Io non sono un genitore, ma ho una lunga esperienza di contatto coi bambini piccoli, anche perché, per motivazioni culturali della mia famiglia –se vi ricordate, ho già detto di essere mezza straniera- come sorella maggiore sono stata destinata fin dalla più tenera età a madre in seconda, funzione che ho continuato a svolgere con mia sorella per via di varie vicissitudini familiari e che ho in parte ricoperto coi miei cugini. 
Forse questo mi permette, in certi casi, di vedere l’essere umano dietro la figura “mitologica” del genitore, una specie di Superman votato unicamente ai suoi figli, mai distratto, mai stanco, mai spaventato o dubbioso, dotato dalla natura di istinto materno e paterno, di un cervello impostato sul bambinese, di una specie di bussola interna che punta sempre verso il metodo di allevamento dei figli migliore e di mille mani.
L’essere umano dietro al Supergenitore è, invece, una figura spesso piena di dubbi, che non sa se stia facendo la cosa più giusta. È una persona spesso stanca, a volte distratta, tremendamente esasperata dalle attenzioni che i figli richiedono e da ciò che la gente si aspetta da lui o lei. Una persona che ascolta impotente il proprio figlio neonato piangere e che prima di riuscire a calmarlo prova, in ordine, a controllare il pannolino, a dargli il biberon, a massaggiargli il pancino, a dargli delle pacche sulle spalle, a farlo dormire e, soltanto alla fine, si rende contro che il bambino ha solo freddo.
Una persona che sbaglia e che da questi errori impara a fare il genitore.
Ma a volte questi errori sono tanto gravi da non poter più rimediare. Un padre che dimentica il figlioletto in macchina credendo di averlo portato all'asilo può avere per la testa altri tremila pensieri, magari alcuni molto importanti, come problemi in famiglia, di salute, col denaro. L’essere umano non è un robot: troppe cose per la testa di solito di fanno dimenticare un dettaglio. E quel dettaglio è, drammaticamente, il proprio figlio. 
Ciò non significa che quest’uomo sia stato un pessimo padre o che meriti ogni genere d’insulto. La sua pena la sconterà per sempre, riempiendosi la testa di sensi di colpa e di “e se...?”.
Una madre che abbandona il proprio figlio in un ospedale, in una culla termica o davanti ad una chiesa o una casa non è sempre un mostro. 
Avete mai provato a pensare a cosa ci può essere dietro? A chi è questa donna? È giovane o vecchia? Ricca o povera? Lavora e può mantenersi o è disoccupata? Vive coi genitori o sotto un ponte? È sana o invece è malata? È pronta ad essere madre o non lo è? È spaventata? Ha qualcuno che la sostenga o è sola contro il mondo? Questo bambino lo voleva o è arrivato come un fulmine a ciel sereno? Il padre l’ha abbandonata o anche lui ha rinunciato a suo figlio a malincuore? Ma c’è mai stato, un padre? O lui non sa niente? E se invece l’avesse violentata? O se fosse sposato? E se lei fosse straniera? Magari una clandestina? Se avesse già altri figli? Magari figli che non può nutrire? Nessuno pensa mai che questa madre degenere in realtà è una persona. 
L’istinto materno non è innato: arriva piano piano. E a volte è questo istinto a spingere una donna a privarsi del figlio che è stato dentro di lei per mesi, che ha sentito scalciare, su cui ha fantasticato, a cui ha dato un nome o un nomignolo, a cui ha parlato, che ha tenuto in braccio per qualche istante prima di decidere di essere disposta a soffrire per sempre separandosene, piuttosto che vederlo infelice, infreddolito, spaventato o affamato.
E peggio ancora se è malato. Perché se qualcuno abbandona un figlio malato, allora è un mostro. Ma, diciamocelo, chi vuole un bambino malato? Quando pensiamo alle nostre creature, le immaginiamo sempre felici, sorridenti e sane. E un bambino malato, soprattutto in forma grave, è sempre un peso e un costo, oggettivamente parlando. E, soggettivamente, è un calvario di disperazione, speranze infrante, dubbi, paure e di due domande atroci: è colpa mia? Potevo fare qualcosa per evitarlo?
Una via Crucis che non tutti hanno la forza di percorrere. E forse è meglio affidare il proprio bambino malato alle mani di chi saprà prendersene cura prima di essere uno dei tanti, troppi genitori che pone fine alla vita del figlio infermo per la disperazione. 
Forse è meglio ucciderlo nel ventre e piangere mille lacrime, che vedere il proprio bambino piangerne mille volte di più per il dolore, la solitudine e l’abbandono.
E che dire della madre che uccide sé stessa e i propri figli? Un mostro, una terribile novella Medea. Un essere disgustoso pronto a divorare i propri figli. O forse una donna sola? Una donna disperata? Una donna che soffre di depressione post-partum? O che decide di proteggere i propri figli dal dolore e la sofferenza con la morte?
I genitori sono persone, non macchine. Dietro quest’etichetta c’è un carosello di emozioni, sentimenti, dubbi, paure e riflessioni che spesso ci dimentichiamo, ma che sono e saranno sempre sotto i nostri occhi.
Forse, prima di giudicare una persona come madre o come padre –ossia come robot-, dovremmo giudicarla come essere umano e ricordare che, dentro di noi, vive un mare in tempesta che, a volte, ci porta alla tragedia.
Ovviamente, mi sento in dovere di specificare visto che scopro giorno dopo giorno l’incapacità di molte di leggere e capire, io non sto parlando di casi in cui i genitori uccidono deliberatamente i figli perché piangono troppo, ridono troppo, perché quel giorno girava loro così, perché vogliono fare un torto al compagno o alla compagna o perché li lasciano in macchina per ore per andare a divertirsi al bar, al ristorante, in discoteca o dagli amici o per andare a fare shopping. 
Questi sono discorsi che non intendo assolutamente affrontare in maniera così generica, ma che, nella maggior parte senza ombra di dubbio, sono da considerare crimini della peggior specie.